Come selezionare l’inoculo per l’impianto di biogas – I Parte

Last Updated on 23/08/2020 by Piero Mattirolo

L’Attività metanogenica specifica (SMA): una prova utilissima ma ancora da normalizzare. Ripubblicazione di un articolo di Mario A. Rosato su Agronotizie

“Spesso dico che quando puoi misurare ciò di cui stai parlando, ed esprimerlo in numeri, allora sai qualcosa di esso; ma se non riesci a misurarlo, se non riesci ad esprimerlo in numeri, la tua conoscenza è magra ed insoddisfacente; essa può essere l’inizio della conoscenza, ma non ti avrà consentito, nella tua mente, di avanzare nel progresso della scienza, qualunque sia la disciplina”.
  William Thomson, I Barone di Kelvin (Lezione su “Unità di misura elettriche”, 3 maggio 1883)

La selezione dell’inoculo più adatto, per avviare (o riavviare) un impianto di biogas, è un problema pratico spesso sottovalutato. Un impianto di biogas è un allevamento di batteri, per cui la sua gestione ottimale si basa sugli stessi principi di un allevamento di bestiame: selezione della razza più adatta e monitoraggio scrupoloso della salute di ogni singolo capo. Nel caso di un allevatore di bestiame, la distinzione fra animali da carne o da latte è ovvia e basta una visita del veterinario per determinare lo stato generale di salute della mandria.

Ma come può il gestore di un impianto di biogas scegliere l’inoculo più adatto per raggiungere la massima produttività, nel più breve tempo possibile? Come si misura un concetto così elusivo come “lo stato di salute” dei batteri?

Nell’industria del biogas sono in voga diversi metodi e perlopiù inutili, perché basati su prove indirette e fallacie logiche (si vedano: Ridimensionando l’importanza del test Fos/TacLa conducibilità elettrica del digestato è inaffidabile per la conduzione dell’impianto di biogas e Lo schiumometro per gli impianti di biogas). Spesso le aziende fornitrici di servizi d’assistenza biologica agli impianti di biogas fanno ricorso ad innumerevoli – e costose – analisi chimiche, pure queste relativamente inutili perché la presenza o assenza di qualche composto non necessariamente garantisce l’attività biologica del digestato.

Il modo più semplice per quantificare la vitalità dei batteri consiste nel misurare il loro tasso respiratorio.
Si tratta di una prova utilissima perché:

  • È molto selettiva. A seconda del substrato di riferimento utilizzato (carboidrati, proteine, lipidi, acido acetico) è possibile misurare la consistenza e vitalità dei diversi gruppi di batteri – idrolitici, proteolitici, lipolitici, metanogenici- che compongono la flora del digestore.
  • È molto semplice da realizzare direttamente nell’impianto. Non è necessario essere un biochimico o un biologo, basta dotarsi della strumentazione adatta e seguire un metodo ben preciso.

La prova consiste nel prelevare un campione di digestato, aggiungervi una quantità nota di acido acetico (o di acetato di sodio), e osservare la quantità totale di metano prodotta e la velocità di produzione. Concettualmente sembra una soluzione facile, ma purtroppo dobbiamo fare i conti con la 13° legge di Murphy che dice: “La facile soluzione di un problema genera sempre un problema più difficile da risolvere”. In questo caso il problema più difficile è raggiungere un consenso universale su quale debba considerarsi il substrato di riferimento da utilizzare, in quale quantità, quanto tempo debba durare la prova, e il modo di definire la soglia di attività metanogenica accettabile.


COD, SV, BMP e SMA: alcune definizioni utili per orientarsi nella giungla dei criteri

Il primo passo per poter misurare qualcosa è definire l’unità di misura. Nel caso specifico della misurazione dell’attività metanogenica, praticamente ogni ricercatore si è inventato un modo diverso di eseguire la prova e di esprimere i risultati. Benché il substrato di riferimento più citato nella letteratura sia l’acetato di sodio oppure l’acido acetico, molti studi sull’attività metanogenica sono stati realizzati con altri substrati: miscele di acidi grassi volatili in diverse proporzioni, i sali degli stessi acidi, metanolo, etanolo, glucosio, saccarosio, fenolo… Nella letteratura si trovano studi realizzati perfino con substrati che non si possono di certo considerare “di riferimento” perché molto variabili per composizione: melasso, malto di birra e zucchero grezzo di canna.

Questa disparità di criteri rappresenta un problema per chi vuole gestire razionalmente un impianto di biogas, basandosi su evidenze scientifiche misurabili anziché su tabelle indicative o affermazioni autoreferenziali di sedicenti “biologi”. È dunque necessario definire unità e metodi di misura standard, in modo che i risultati espressi in modi diversi possano essere comparati fra di loro. Poiché la confusione è tanta, perfino fra i “biologi” e addetti ai lavori, è utile fare un piccolo ripasso delle nozioni basilari, prima di addentrarci nelle tecniche di esecuzione della prova di Sma e nella sua applicazione pratica agli impianti di biogas.

  • La degradazione anaerobica dell’acido acetico ad opera delle Archaea acetoclastiche è un processo che si può “esprimere in numeri” mediante la seguente formula stechiometrica: C2H4O2 (dig. anaerobica) -> CH4 + CO2
    In numeri: 1 mole di acido acetico (60 grammi) rende una mole di metano (16 grammi ovvero 22,4 Ndm3) più una mole di diossido di carbonio (44 grammi ovvero 22,4 Ndm3). In valori unitari, la resa di metano dell’acido acetico puro è dunque pari a 373 Ncm3/grammi.
  • Se consideriamo l’acetato di sodio al posto dell’acido acetico:
    C2H3NaO2 + H2O (dig. anaerobica) -> CH4 + NaHCO3
    Come nel caso precedente, una mole (82 grammi) di acetato di sodio rende 22,4 Ndm3 di metano, ovvero 273 Ncm3/grammi. L’unica differenza rispetto al caso precedente è che il sodio in medio acquoso “cattura” il diossido di carbonio, formando idrogenocarbonato di sodio (bicarbonato), quindi – in teoria – il biogas che fuoriesce dal reattore è metano puro.
  • Si può dimostrare mediante un calcolo stechiometrico che la digestione anaerobica della materia organica produce sempre CH4 e CO2, in quantità e proporzione che dipendono dalle quantità e proporzioni di C, H e O presenti nella biomassa. Esistono tre unità di misura della quantità di C della materia organica: la COD (Domanda chimica di ossigeno ovvero la quantità di O2 necessaria per l’ossidazione totale del substrato), i SV (Solidi volatili, ovvero la frazione della sostanza secca escluse le ceneri) e il TOC (Carbonio organico totale). Le due prime sono le più diffuse perché la loro procedura di misurazione è più semplice.
    Vediamo quali sono le differenze fra i vari criteri:
      • COD. Se prendiamo l’acetato di sodio come “molecola modello” della digestione anaerobica, la sua ossidazione totale si può rappresentare con le seguenti equazioni:
    C2H3NaO2 + 2O2 -> 2CO2 + H2O + NaOH
    2C2H3NaO2 + 4O2 -> 4CO2 + 3H2O + Na2O
    Nel primo caso sono necessarie due moli (64 grammi) di ossigeno per produrre l’ossidazione completa di una mole (82 grammi) di acetato di sodio, nel secondo caso sarà necessario il doppio di ossigeno per il doppio di acetato. Quindi, in entrambi i casi la Cod dell’acetato di sodio è la medesima, pari a 64/82 = 0,78 grammi di O2/grammi acetato.
    Se invece assumiamo l’acido acetico come “molecola modello”:
    C2H4O2 + 2O2 -> 2H2O + 2CO2
    Pertanto la Cod dell’acido acetico è pari a 1,066 grammi O2/grammi ovvero, tenendo conto della sua densità, 1,12 grammi O2/cm3.
      • SV. Se invece vogliamo caratterizzare l’acetato di sodio in funzione dei suoi Sv, ci troviamo davanti ad un problema perché le equazioni esposte al punto precedente rappresentano due soluzioni, a seconda di quale sia la reazione di ossidazione – che dipenderà dalle condizioni sperimentali in cui vengono misurati i Sv. Quindi 82 grammi di acetato anidro lasceranno 40 grammi di ceneri in un caso oppure 164 grammi di acetato produrranno 62 grammi di ceneri nell’altro. Per definizione, i Sv sono dunque pari a:
    SV1 [%] = 100 x (SS – Ceneri) / SS = 100 (82 grammi – 40 grammi)/82 grammi  = 51,2%
    SV2 [%] = 100 x (SS – Ceneri) / SS = 100 (164 grammi – 62 grammi)/164 grammi  = 62,2%
    Nella pratica, otterremo sempre valori di Sv compresi fra i due limiti teorici indicati prima, a seconda dalla temperatura di calcinazione del campione di acetato.
    Se invece prendiamo l’acido acetico come “molecola modello”, è impossibile caratterizzarlo in termini di Sv: per definizione esso è 100% volatile, in quanto liquido e privo di minerali.
  • Dai paragrafi precedenti deduciamo le seguenti relazioni pratiche:
      • BMP dell’acetato di sodio = 273 [Ncm3/grammi acetato] / 0,78 [grammi COD/grammi acetato] = 350 Ncm3/grammi COD. Poiché i SV dell’acetato possono variare a seconda dalla temperatura di calcinazione, non è affidabile utilizzare tale parametro.
      • BMP dell’acido acetico = 373 Ncm3/grammi /1,066 grammi COD/grammi = 350 Ncm3/grammi COD.
      • Si può dimostrare matematicamente che il BMP di qualsiasi matrice organica è sempre pari a 350 Ncm3/grammi COD, a condizione però che tale matrice sia 100% digeribile. Lo stesso non vale per i SV: la variabilità del BMP in funzione dei SV è impossibile da parametrizzare, per cui non sono una unità di misura “comoda” per valutare l’attività metanogenica di un digestato. Per misurare l’attività metanogenica basta dunque introdurre nel reattore “1 grammo di COD” (indipendentemente dalla sostanza che si scelga o di cui si disponga nel momento) e osservare se esso sprigiona 350 Ncm3 di metano. Vedremo nella II Parte che cosa significa “1 grammo di COD” di una matrice organica qualsiasi.


Conclusioni

La misurazione dell’Attività Metanogenica Specifica (SMA) è una tecnica per esprimere in termini numerici le “costanti vitali” delle Archaea, che sono il gruppo di microrganismi responsabile della produzione di metano, ultimo stadio della digestione anaerobica. La misurazione della SMA si basa sul fatto che le Archaea metanigene acetoclastiche si nutrono esclusivamente di acido acetico (o il suo sale, l’acetato di sodio), sostanza però indigeribile per gli altri microrganismi che compongono la flora del digestato. Quindi, aggiungendo una quantità nota di tale sostanza ad una quantità nota di digestato, e osservando quanto metano viene sprigionato, è possibile dedurre se il digestato possiede effettivamente una popolazione attiva di Archaea.

Inoltre, il rapporto fra la portata di metano e la massa di materia organica contenuta nel digestato fornisce una misura numerica del tasso respiratorio, cioè dell’attività biologica della popolazione di Archaea.

Nella II Parte di questo articolo vedremo quali sono i “trucchi del mestiere” che un buon gestore di impianti di biogas deve conosce per realizzare correttamente una prova e come interpretare i risultati per ottimizzare il profitto.

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