Last Updated on 23/08/2020 by Piero Mattirolo
Ad ogni sottoprodotto il suo digestato!
Ripubblicazione di un articolo di Mario A. Rosato su Agronotizie
Nella I Parte di questo articolo abbiamo spiegato il funzionamento di un impianto di digestione anaerobica comparandolo con un “allevamento di batteri”. Per il buon funzionamento di un impianto di biogas il suo gestore deve saper sceglie l’inoculo in funzione dei sottoprodotti con cui verrà alimentato il digestore, così come un allevatore sceglie la razza da allevare a seconda dello scopo aziendale, ad esempio bovine da latte o da carne. Al margine della verifica dell’attività metanogenica (Sma) – spiegata nella II Parte di questo articolo – è importante verificare la capacità dell’inoculo di degradare matrici organiche complesse, quali cellulosa, proteine e grassi.
Per capire perché non basti la prova Sma, descritta in precedenza, osserviamo nella Foto 1 i diversi passaggi di degradazione che subisce una matrice qualsiasi organica ad opera dei vari gruppi di microrganismi che compongono l’inoculo anaerobico. Ogni gruppo batterico contribuisce a ridurre le macromolecole che compongono una data biomassa, producendo molecole via via più semplici fino a trasformarsi nell’acido acetico di cui hanno bisogno le Archaea per vivere. Tale processo biologico (respirazione) rilascia metano, diossido di carbonio e acqua.
Foto 1: Lo schema del processo di digestione anaerobica
(Fonte foto: Mario A. Rosato (Rif. [i]))
Come ogni ecosistema, anche il digestato di un impianto di biogas si evolve per adattarsi al substrato con cui viene alimentato il digestore. In Italia, oltre il 90% degli impianti di biogas viene alimentato regolarmente con deiezioni zootecniche in proporzioni variabili. Sembrerebbe dunque che la selezione della “razza” di batteri con cui avviare – o riavviare – un determinato impianto sia un processo basato solo sul buon senso: se l’impianto verrà alimentato con sostanze vegetali, si andrà a prelevare l’inoculo da un impianto operante con lo stesso tipo di substrato, oppure ci si approvvigionerà di letame bovino, ovino, caprino, o equino, in quanto gli erbivori hanno naturalmente una flora batterica intestinale adatta a digerire sostanze cellulosiche.
Negli impianti alimentati con sottoprodotti di origine animale è conveniente usare un inoculo prelevato da un impianto alimentato con deiezioni di suini o avicoli, in quanto gli animali monogastrici digeriscono meglio le proteine ed i grassi.
In realtà le cose non stanno del tutto così: talvolta non ci sono impianti di biogas operanti stabilmente nelle vicinanze dell’impianto da avviare, in altri casi gli impianti ci sono, ma vengono alimentati con biomasse di tipo diverso da quello che si prevede di utilizzare nel proprio impianto. Ciò non vuol dire che tali inoculi non possano essere utilizzati, basta solo verificare se abbiano la popolazione batterica adatta per digerire ogni componente della biomassa o sottoprodotto di nostro interesse.
Le famiglie di microrganismi anaerobici ed i substrati di riferimento per la verifica della loro attività biologica
La materia organica è composta da carboidrati, proteine e lipidi in proporzioni variabili. I microrganismi che si nutrono prevalentemente da uno di tali componenti si chiamano rispettivamente: idrolitici, proteolitici e lipolitici. Il modo razionale per verificare selettivamente l’attività biologica di ciascuno dei gruppi di microrganismi che compongono un inoculo anaerobico consiste in realizzare una prova di potenziale metanigeno (Bmp), utilizzando un substrato di riferimento puro.
I substrati di riferimento più comuni sono:
- Cellulosa. È il carboidrato più complesso da degradare. Se un inoculo è in grado di degradare la cellulosa allora sarà in grado di degradare anche l’emicellulosa, la pectina, la chitina (il componente strutturale dei funghi) e le biomasse vegetali in generale. La norma UNI 11703:2018 (Rif. [ii]) raccomanda l’utilizzo di cellulosa monocristallina. Per prove di tipo industriale si ricorre spesso ad altre fonti di cellulosa più economiche e facili da acquistare come: carta igienica e fazzoletti di carta (bianchi, senza disegni stampati) cotone bianco e carta filtrante da laboratorio. Il Bmp teorico della cellulosa è di 415 Ncm3/g SV, si considera accettabile un inoculo capace di raggiungere almeno l’80% di tale valore. La prova si realizza con un rapporto inoculo: substrato (I/S) compreso fra 2 e 3, e richiede mediamente quindici-venti giorni.
- Gelatina animale (colla di pesce in fogli, gelatina in polvere senza colorante né sapore). È proteina pura, praticamente anidra, quasi priva di ceneri e facile da dosare. Alternativamente, si possono utilizzare albume di uovo, tofu (proteina di soia) e caseina. Il suo Bmp teorico è di 496 Ncm3/g SV. Come nel caso precedente, si considera accettabile un inoculo capace di raggiungere almeno l’80% di tale valore. La prova si realizza con un rapporto inoculo: substrato (I/S) compreso fra 2 e 3 e dura dieci-venti giorni.
- Olio vegetale (girasole, sansa di oliva, mais, arachide). Tipicamente una prova di attività lipolitica richiede dai trenta ai sessanta giorni. È impossibile misurare con i comuni kit di fiale predosate la Cod (Domanda chimica di ossigeno) degli oli, perché fuori dal range del metodo e per l’impossibilità di diluire il campione con acqua distillata. La prova si realizza assumendo che l’olio abbia 2,9 g Cod/g di prodotto (secco). Il Bmp teorico degli oli e grassi è di 1014 Ncm3/g di prodotto secco. Questa prova richiede un rapporto di I/S > 5 (5 g di SV di inoculo per ogni g di olio) perché spesso i lipidi tendono ad inibire l’attività biologica dell’inoculo.
Un esempio pratico
Un impianto di biogas alimentato con un variegato mix di sottoprodotti non era in grado di superare il 50-60% della sua potenza nominale. Il “biologo” di turno aveva decretato – come di consueto in Europa, senza realizzare alcuna prova – che la causa era il mix “troppo eterogeneo”, per cui l’impianto andava alimentato solo con insilato di mais. Il passaggio ad una alimentazione con solo insilato ha ridotto ulteriormente la produttività.
Le Foto 2, 3 e 4 ci consentiranno di capire il perché.
Si osserva che la prova con cellulosa raggiunge appena il minimo accettabile e mostra un andamento irregolare che si discosta dalla classica sigmoide. La prova con gelatina ha un inizio con valori nella norma, ma mostra segni di inibizione a partire dal decimo giorno. La prova Sma indica inequivocabilmente che l’inoculo ha un’attività metanogenica troppo bassa. L’alimentazione con un mix variegato di sostanze complesse consentiva una bassa produttività, ma costante, perché i batteri idrolitici producevano acido acetico all’incirca alla stessa velocità con cui la flora metanogenica convertiva quest’ultimo in metano. Il passaggio ad una dieta di solo insilato di mais ha portato all’inibizione del processo, precisamente perché questo substrato è facilmente idrolizzabile. I batteri idrolitici producevano dunque l’acido acetico ad una velocità più alta di quanto le Archaea acetoclastiche fossero in grado di metanizzare. Ciò ha comportato l’accumulo di acido acetico, l’abbassamento brusco del pH, ed infine il blocco del processo biologico.
Conclusioni
La prova SMA è utilissima, ma da sola non sempre è sufficiente per determinare la qualità del digestato. Uno screening delle attività biologiche specifiche di ognuno dei gruppi di microrganismi che compongono il digestato di un impianto di biogas serve a dare una idea chiara della robustezza del processo. Si tratta di prove relativamente facili da realizzare, che richiedono ingredienti di basso costo e facilmente reperibili come: cellulosa, gelatina e aceto. Un kit di basso costo come quello mostrato nella foto di apertura dell’articolo è sufficiente per realizzare tali prove in poco tempo e con una buona accuratezza.
Referenze bibliografiche e approfondimenti consigliati
[i] Rosato, M.A.; Manuale per il gestore dell’impianto di biogas, Editoriale Delfino, 2015.
[ii] Norma UNI/TS 11703:2018 Metodo per la misura della produzione potenziale di metano da digestione anaerobica ad umido – Matrici in alimentazione.