Questo articolo si propone di esaminare lo stato di sviluppo del biometano in Italia, oggetto di3 seminari on line, tra ottobre e novembre 2020, riprendendo alcuni ragionamenti fatti con Snam e Federmetano, in questa occasione. A oltre due anni dall’entrata in vigore del secondo decreto e a sette dal primo, i cui effetti erano stati pressoché nulli.
Certamente, in tutto questo tempo, il mercato ha preso piena conoscenza della realtà del biometano come importante e sostenibile fonte energetica, e sono molti i nuovi soggetti economici entrati in questo settore, la cui importanza è stata pienamente valorizzata da Snam, il maggiore operatore nazionale della rete gas.
Con il secondo decreto sul biometano, il legislatore ha fatto tesoro delle lezioni apprese con il primo, già a partire dal metodo. Il decreto è infatti nato al termine di sei mesi di concertazione con gli operatori interessati e presenta un’impostazione coerente e ben articolata, concentrata, secondo una logica condivisibile, sulla priorità alla destinazione ad autotrazione, alla luce del ritardo di questo comparto, rispetto agli altri settori delle energie rinnovabili, e senza dimenticarsi del punto di forza della filiera industriale nazionale nell’autotrazione a gas naturale.
Nella maggior parte dei paesi europei, vi è sempre stata una chiara e forte separazione negli impianti di biogas/biometano tra quelli alimentati a biomasse agricole e quelli alimentati a rifiuti, benché, sotto il profilo chimico, la composizione del digestato nel fermentatore presenta poche differenze tra i due. Il biogas agricolo viene prodotto, oltre che da una quota di biomasse coltivate (in via di progressiva eliminazione, in omaggio agli orientamenti della direttiva ILUC, che riguarda le materie prime da destinare a biocarburanti, e si preoccupa della potenziale concorrenza delle colture energetiche nei confronti delle colture alimentari), soprattutto da sottoprodotti e scarti agricoli .
Ripubblicazione di un articolo di Mario A. Rosato su Agronotizie.
Non c’è dubbio che la siccità che sta martoriando il nostro Paese sia una delle tante conseguenze del cambiamento climatico. Non è facile ottenere prove certe sulle denunce della stampa, ma dall’altro lato non è neanche difficile credere che la cattiva gestione territoriale comporti oltre il 30% di perdite nelle reti idriche.
Purtroppo siamo ormai abituati al malgoverno. Per contro, il consumo di acqua per irrigazione si può ridurre drasticamente con una adeguata gestione dei suoli, e se non lo facciamo, o se lo facciamo in modo sbagliato, la colpa è solo nostra. La capacità di ritenzione idrica, o capacità di campo, dipende dal tipo di suolo (Tabella 1). Ovviamente, un agricoltore non può cambiare il tipo di suolo del proprio terreno, ma può migliorarne la capacità di campo, riducendo dunque la necessità di apporti irrigui e, indirettamente, anche di fertilizzanti.
Tabella 1: Capacità di campo dei suoli
(Fonte foto: University of California, traduzione e conversione delle unità a carico dell’autore)
(Clicca sull’immagine per ingrandirla)
Il surplus d’acqua che può immagazzinare la materia organica in qualsiasi suolo dipende da molti fattori, quali il tipo di lavorazione del terreno, la pendenza, la profondità dello strato organico, eccetera. Uno studio critico su ben sessanta pubblicazioni (1) conclude che, mediamente, ai valori riportati nella Tabella 1 bisogna aggiungere 1,16 millimetri di H2O per ogni punto percentuale di carbonio organico ogni 100 millimetri di strato organico. Il rapporto fra materia organica e C organico è noto nella letteratura scientifica come fattore di van Bemmelen pari a 1,724, ovvero la materia organica del suolo contiene il 58% di C. Per i nostri calcoli assumiamo 56% (valore definito nel Regolamento (EC) No 2019/1009, testo in italiano).
Ad esempio, un terreno arido al quale si aggiunga un ammendante in modo che i 300 millimetri di strato superficiale contengano il 5% di materia organica, aumenterà la capacità idrica disponibile di:
Δ = 1,16 x 300 mm/100 mm x 5 x 0,56 = 9,74 mm = 9,74 l/m2
Vuol dire che 1 ettaro di questo terreno ammendato potrà trattenere 97,4 m3 in più di acqua disponibile per le piante rispetto al terreno privo di materia organica. Può sembrare poco, ma se lo vediamo su scala territoriale, il miglioramento potenziale della gestione idrica è notevole.
A titolo d’esempio, la Foto 1 mostra la consistenza del C organico nei suoli italiani. Si osserva come molte aree siano ormai prive di copertura organica (grigio chiaro) e solo i suoli delle fasce montana e pedemontana, assieme a macchie di leopardo in pianura, abbiano un tenore di C organico > 75 tonnellate/ettaro (ovvero > 2%). Questo implica che la maggioranza delle nostre colture ha bisogno di più acqua irrigua di ciò che sarebbe necessario se i suoli fossero più ricchi di materia organica.
Quanto detto finora non significa che qualsiasi fonte di C organico vada bene per migliorare la tessitura dei suoli. Abbiamo già trattato in un altro articolo le farneticazioni istituzionali sul concetto di “digestato equiparato ai fertilizzanti”, concetto che, oltre a non essere definito nel Decreto (si rimanda ad un futuro decreto che forse non arriverà mai), aggiunge confusione ad un tema già di per sé complesso come quello degli equilibri di C e nutrienti nei suoli. Ricordiamo che la normativa europea (Regolamento (EC) No 2019/1009, testo in italiano) definisce sette “categorie funzionali di prodotti” per i fertilizzanti europei.
Nel contesto del presente articolo, la materia organica si può classificare in tre grandi categorie, che però si intersecano in certa misura:
Ammendanti organici: contengono maggiormente C in forma stabile (humus), quantità minori di nutrienti (N, P, K…) e microrganismi vivi in popolazioni variabili per quantità e composizione.
Fertilizzanti organici: contengono C in quantità ridotta e facilmente ossidabile, quantità consistenti di nutrienti (N, P, K…) e microrganismi vivi in popolazioni variabili per quantità e composizione.
Biostimolanti microbici: contengono maggiormente C in forma di biomassa microbica viva o latente (funghi, protozoi, batteri e le loro spore), ma possono contenere anche piccole proporzioni di C stabile e nutrienti.
Come si comportano dunque le diverse materie organiche quando vengono a contatto con il suolo? Grosso modo, la trasformazione del C organico subisce due fasi:
Mineralizzazione. I microrganismi presenti nel suolo – ed eventualmente anche nella stessa materia organica applicata ad esso – ossidano il C organico emettendo CO2. La percentuale di C persa in questo modo (mineralizzata) in un anno è nota nella letteratura come Coefficiente di Mineralizzazione (MC o k2 a seconda degli autori). Il k2 dipende dal tipo di suolo: quanto più poroso (terreni sabbiosi con scheletro) oppure quanto più intense e frequenti le lavorazioni, maggiore sarà la circolazione di aria e quindi tanto più alto sarà k2. Al contrario, in terreni argillosi o con minime lavorazioni, la materia organica si disperde di meno.
Umificazione. Una parte del C organico (tipicamente i composti lignocellulosici e più concretamente la lignina) è refrattaria all’attività microbica e si trasforma in sostanze complesse, chiamate genericamente sostanze umiche. Una frazione di queste (acidi umici) viene lentamente ossidata e dispersa come CO2. La frazione più refrattaria e stabile costituisce l’humus. La percentuale di C organico che rimane nel suolo dopo un anno è chiamata Coefficiente di Umificazione (HC o k1 a seconda degli autori). La quantità assoluta di humus che rimane nel suolo dopo un anno è nota come Materia Organica Effettiva (EOM = Effective Organic Matter) ed è quella che dobbiamo rimpinguare ogni anno perché comunque i microrganismi del suolo la degradano a CO2, benché a un ritmo più lento.
I calcoli della quantità di materia organica da aggiungere ad un suolo impoverito per ripristinare la sua fertilità, o quella da aggiungere annualmente per mantenerla, richiedono alcune tabelle con i coefficienti k1 e k2, qualche informazione addizionale sul tipo di suolo e ammendante e un po’ di pazienza (si veda ad esempio il manuale della Regione Campania (2)).
Per la comodità dei nostri lettori proponiamo un semplice calcolatore online dell’ammendante organico da applicare in funzione del tipo di suolo, contenuto iniziale di materia organica e obiettivo di fertilità desiderato.
I benefici del bokashi – un particolare tipo di compost fermentato originario del Giappone – sono molti ed innegabili, ma spesso vengono esagerati dall’ideologia “bio ad ogni costo” e “antisistema”.
Tentiamo dunque di fare un po’ di luce sull’argomento, iniziando dal concime più controverso: il digestato.
Il digestato non viene mai impiegato così come esce dal digestore. Tutti gli impianti hanno un separatore, tipicamente a coclea, dal quale escono due “digestati” con caratteristiche molto diverse: solido e liquido. Il primo è tendenzialmente un ammendante: apporta al suolo C, P (in genere come cristalli di struvite o idrossiapatite), e un po’ di batteri vivi. Il secondo invece è più simile a un fertilizzante liquido, apporta principalmente N in forma ammoniacale, K e sali solubili e pochissimo C organico, soprattutto in forma di batteri vivi. Paradossalmente, l’elevata biodisponibilità dell’azoto ammoniacale per i batteri comporta che l’applicazione sconsiderata di digestato liquido al suolo ne abbassi di colpo il rapporto C:N, rendendo il coefficiente di umificazione nullo o addirittura negativo. Questo fatto, raccontato in modo esagerato e incompleto, è il tipico argomento dei “no biogas” contro l’uso agronomico del digestato – senza specificare quale frazione – e dei liquami zootecnici. Il problema non è quindi l’utilizzo del digestato liquido di per sé, bensì il mancato apporto di digestato solido (o compost, o paglia, o qualsiasi altra fonte di C organico) in quantità sufficiente per mantenere nel suolo un rapporto C:N adeguato.
Ricordiamo che un concime organico con C:N = 25 è favorevole alla sintesi di acidi umici stabili, un C:N < 10 agevola la mineralizzazione, un C:N > 30 immobilizza l’azoto, che viene consumato dai batteri per degradare le sostanze umiche, rendendolo indisponibile per le radici.
Per quanto riguarda la frazione solida del digestato, i suoi coefficienti di mineralizzazione e di umificazione dipendono dall’alimentazione del digestore. Un digestato solido da impianti alimentati prevalentemente con biomasse vegetali (insilati, residui agroalimentari, Forsu) conterrà una cospicua frazione di lignina, sostanza molto refrattaria e precursore diretto dell’humus. Un digestato solido da impianto alimentato con fanghi o con residui di macellazione avrà un coefficiente di umificazione nullo o perfino negativo, quindi sarà più simile ad un fertilizzante che ad un ammendante. Il coefficiente di umificazione del digestato solido dipende anche dal tipo di separatore utilizzato (coclea o centrifuga) e da eventuali post trattamenti: è massimo nel caso del separato solido da Forsu essiccato a 60°C fino ad avere meno del 50% di umidità (3).
Uno studio comparativo (4) sulle trasformazioni del carbonio in tre processi – digestione anaerobica, fermentazione lattica e compostaggio – ha messo in evidenza che la classificazione europea dei concimi organici è riduttiva perché i prodotti funzionali non sono sempre un misto di fertilizzante, ammendante e biostimolatore, in percentuali variabili. Il suddetto studio evidenzia che la quantità di C residuo nel digestato solido è minore di quella del bokashi o del compost, fatto scontato perché lo scopo della digestione anaerobica è precisamente convertire la maggior parte della biomassa in metano. Però, l’apporto di materia organica facilmente ossidabile, N e P degli ammendanti anaerobici del digestato solido e del bokashi sono praticamente equivalenti. Entrambi apportano anche della flora batterica propria, favorendo l’attività microbica del suolo molto di più rispetto al compost. I trattamenti anaerobici sono quindi complessivamente migliori rispetto al compostaggio, il quale effettivamente conserva una maggiore frazione del C iniziale del materiale compostato, ma perde più nutrienti e non favorisce così spiccatamente l’attività batterica del suolo.
Conclusioni
La concimazione organica non si può effettuare in base a tabelle o ricette “a forfait”, allo stesso modo il nostro calcolatore online non sostituisce il sopralluogo e le analisi di un professionista. Il calcolatore consente di fare una valutazione preliminare veloce, previa l’elaborazione di una strategia di ripristino della fertilità dei suoli stanchi o comunque impoveriti e di conservazione della stessa mediante l’apporto annuale di materia organica. Tale materia organica non può essere di qualsiasi tipo: il digestato solido ed il compost garantiscono un rapporto C:N più bilanciato che consente di conservare più carbonio nel suolo rispetto alle materie organiche “fresche” (sovesci, paglia, stocchi) o alle materie con coefficiente di umificazione nullo o negativo (liquami, residui di macellazione, digestato solido da fanghi). Il digestato solido da residui agricoli, ricco di lignina, si può considerare un ammendante equivalente al compost, ma apporta più N e P di quest’ultimo e inoltre fornisce un maggiore effetto biostimolante della flora batterica del suolo.
Certamente, apportare digestato solido o compost commerciale rappresenta un costo per l’azienda agricola, che il nostro calcolatore online consente di stimare facilmente. Tale costo però comporta una serie di guadagni, spesso non considerati nelle valutazioni degli imprenditori agricoli: risparmio di fertilizzanti (maggiore efficienza nell’assorbimento delle piante e minore dilavamento), risparmio di acqua e della corrispondente energia per il pompaggio. Ma, soprattutto, un buon tenore di materia organica nel suolo riduce il rischio di perdere il raccolto per stress idrico in caso di siccità o piogge torrenziali.
Ripubblicazione di un articolo di Mario A. Rosato su Agronotizie
Burocrazia e Nimby a livelli italiani, ma forse con normative più chiare.
Il dibattito politico dell’ultimo mese si è concentrato sulle conseguenze per l’economia italiana dell’embargo internazionale sul gas russo. Malgrado le Linee Guida contenute nella comunicazione della Ce REPowerEU e l’esempio spagnolo di rapida e pragmatica reazione al problema dell’approvvigionamento, l’unica risposta che la politica italiana è stata capace di trovare è stata semplicemente quella di sostituire la dipendenza dalla Russia con la dipendenza da altri Paesi. Fra l’altro, non tutti democratici o politicamente stabili.
Secondo il presidente del Consorzio Italiano Biogas (Cib), Piero Gattoni, per aumentare del 20% la produzione degli impianti di biogas esistenti basterebbe solo ridurre il carico burocratico. Inoltre, dice Gattoni, il ritardo nell’emanazione di regole più chiare sull’iniezione del biometano in rete ha frenato la costruzione di nuovi impianti, che oggi sarebbe in grado di sostituire il 30% delle importazioni di gas naturale. Un ritardo che ora il Governo tenta di compensare cercando disperatamente alternative all’estero.
Intanto che il Parlamento italiano persevera in discussioni bizantine sulla possibilità di reintrodurre il nucleare o installare più pannelli solari sui tetti per risolvere la crisi energetica, un piccolo paesino inglese ha raggiunto il paradigma dell’economia circolare e l’autosufficienza energetica. South Molton è un villaggio rurale con 4.093 abitanti situato nel Devon, a circa 300 chilometri a Ovest di Londra. L’impianto di biogas Condate (Foto di apertura dell’articolo), collocato a circa 1,5 chilometri dal centro del paese, produce abbastanza elettricità rinnovabile per 2.300 famiglie, e gas per 4.600.
È uno dei vari impianti appartenenti al Gruppo Ixora Energy. È dotato di due cogeneratori da 500 kW e di un sistema di upgrading con capacità fino a 600 m3/h. Assomiglia molto a qualsiasi degli oltre mille impianti esistenti in Italia, eccetto per due dettagli: la scelta progettuale di installare due cogeneratori in parallelo anziché il solito motore da 1 MW, e la produzione simultanea di elettricità e biometano, ancora una rarità nel nostro Paese per colpa delle normative poco chiare.
Grazie al direttore generale, Mr Darren Stockley, il quale gentilmente ci concesse il suo tempo per rispondere alle nostre domande, proponiamo ai nostri lettori un riassunto sullo stato generale della produzione simultanea di elettricità e biometano nel Regno Unito.
Anni fa, in Italia era consentito alimentare i digestori con fino al 100% di colture dedicate, e molti impianti vecchi funzionano ancora con tale dieta. Dopo la revisione della Red II, il limite per i nuovi impianti è stato fissato al 30% del peso totale in alimentazione. Poiché l’Uk non è più soggetto ai regolamenti Eu, quali sono le percentuali di colture dedicate e residui/sottoprodotti nella vostra miscela d’alimentazione?
“I nuovi impianti in Uk devono essere alimentati con almeno il 50% di residui agricoli. I nostri impianti non sono soggetti a tale regola, per cui possiamo operare con miscele contenenti il 20-50% di residui agricoli. Condate lavora con il 20% di residui agricoli. Noi cerchiamo costantemente di identificare nuove fonti di residui agricoli per incrementarne la percentuale nel mix di alimentazione”.
Nella vostra pagina web dice che Ixora Energy paga gli agricoltori locali per il loro letame e sottoprodotti. Calcolate il prezzo in base a misurazioni del Bmp di ogni lotto? O adottate l’approccio tedesco, basato su tabelle di Bmp?
“Paghiamo gli agricoltori in base al contenuto di Ss, Sostanza Secca, delle loro forniture. Abbiamo contratti per l’intera vita dell’impianto (15 anni) ed il prezzo per tonnellata di Sostanza Secca viene aggiornato ogni anno da un esperto indipendente che fa la revisione dei loro costi”.
Restituite gratuitamente il digestato agli agricoltori o glielo fate pagare come fertilizzante?
“Glielo diamo gratuitamente indietro, ma non consentiamo che ci carichino costi di fertilizzanti artificiali nei sottoprodotti che compriamo”.
Come gestite il digestato?
“Separiamo le frazioni solida e liquida. Il solido viene applicato direttamente al suolo. La frazione liquida viene attualmente utilizzata come fertilizzante liquido, ma stiamo lavorando con diverse aziende inglesi ed europee per estrarre e riciclare l’acqua. Questa è un’area per la quale siamo molto interessati a trovare una soluzione”.
Recuperate il calore residuo del cogeneratore e/o la CO2 dal sistema di upgrading per qualche utilizzo?
“Il calore si recupera, ma solo per ridurre l’umidità del digestato. Stiamo valutando diverse opzioni per utilizzare al meglio il calore per colture idroponiche e vertical farming. Stiamo anche modificando i nostri impianti per catturare la CO2 per il suo utilizzo nell’industria alimentare”.
Avete progettato sin dall’inizio l’impianto Condate per la produzione simultanea di elettricità e biometano? O avete iniziato come impianto elettrico per poi aggiungere la produzione di biometano in un secondo momento?
“È stato progettato sin dall’inizio per produzione di elettricità e gas. La produzione di gas è limitata solo dalla misura del gasdotto a servizio della nostra comunità”.
Quali sono le potenze nominali elettrica e di biometano?
“La portata di biometano al gasdotto è di circa 500 m3/h, e la potenza elettrica è 1 MW (dei quali 400 kW rappresentano l’autoconsumo dell’impianto)”.
Le produzioni di elettricità e gas sono simultanee, o il generatore elettrico è spento quando si produce biometano?
“Prima si produce abbastanza elettricità per alimentare l’impianto, poi si massimizza la produzione di gas, poi quella elettrica. Pertanto, la produzione è simultanea“.
Quanto tempo avete perso per le procedure burocratiche prima di avere il permesso per iniziare la costruzione e l’operazione?
“Sono passati 12-18 mesi per ottenere i permessi edilizi e quelli ambientali necessari per iniziare la costruzione. Ultimamente questo problema è peggiorato nel Regno Unito, nonostante la necessità di diventare energeticamente autosufficienti”.
Ci sono stati comitati locali di protesta, o diffusione di fake news sul biogas nel tentativo di bloccare il vostro progetto? Come avete risolto il problema?
“Condate non è stato un problema, ma abbiamo altri impianti che subiscono le proteste dei vicini. Questa situazione è peggiorata con l’uso delle reti sociali. Per superare tale problema, tentiamo di invitare quanta più gente possibile a visitare il sito e gli mostriamo che le voci che corrono sugli impianti di biogas non sono corrette. Tentiamo anche di dialogare con i politici locali per mostrare i benefici che l’impianto fornisce all’ambiente”.
Come è organizzata la vendita di elettricità e gas in Inghilterra? Vendete il gas e l’elettricità direttamente alla municipalità o a un distributore che possiede una rete locale? O li iniettate nella rete nazionale?
“Iniettiamo direttamente il gas e l’elettricità nelle reti nazionali. Vendiamo la produzione a imprese energetiche private come BP/Total/EDF, le quali rivendono al consumatore finale”.
Le normative inglesi riconoscono una tariffa premiata rispetto ai prezzi di mercato, o sovvenzionano la costruzione dell’impianto, o riconoscono solo un fisso proporzionale alla potenza nominale dell’impianto?
“Riceviamo un pagamento sovvenzionato basato sulle effettive produzioni di gas ed elettricità. Il pagamento è effettuato mensilmente dal Governo e noi dobbiamo dimostrare le nostre prestazioni ambientali fornendo informazioni dettagliate. Tutto viene regolarmente sottoposto ad accertamenti”.
Riassumendo: la situazione in Inghilterra non sembra poi così diversa da quella Italiana. L’eccesso di regolamentazione sembra essere un problema ricorrente tanto dentro come fuori dall’Ue.
L’Inghilterra beneficia di maggiore flessibilità nell’impiego di colture dedicate per alimentare i digestori e di tempi amministrativi leggermente più brevi, anche se 12-18 mesi non è poi un tempo brevissimo se consideriamo l’urgenza del cambiamento climatico globale. La tecnologia di digestione anaerobica dell’impianto Condate è centroeuropea, come nella maggioranza degli impianti italiani. La logica degli incentivi statali sul biometano e l’elettricità prodotti, così come il modo in cui tali incentivi vengono amministrati, sembrano similari in entrambi i Paesi.
Comparando le statistiche di produzione energetica da biogas su scala nazionale, osserviamo alcune interessanti differenze addizionali sull’evoluzione di entrambi i mercati (Foto 1).
Il motivo per il quale l’industria del biogas cresce più velocemente in Uk che in Italia sembra essere la legislazione.
In Italia, il boom del biogas è iniziato anni prima che in Inghilterra, ma le politiche italiane sono rimaste statiche e talvolta alternatamente contraddittorie, per cui il mercato italiano della digestione anaerobica è ancora forte a livello globale, ma stagnante. Nel Regno Unito, il settore si è espanso fra il 2009 ed il 2017 sotto la normativa nota come Renewables Obligation (RO), principale meccanismo di incentivazione ai grandi progetti di energie rinnovabili. A marzo 2017 la RO è finita e la maggior parte della significativa crescita dell’energia prodotta da digestione anaerobica viene attribuita a svariati meccanismi, appositamente progettati per fornire incentivi finanziari sufficienti a ridurre il divario dei costi fra fonti di energia convenzionali e rinnovabili.
Un esempio di questi è il non domestic Renewable Heat Incentive (Rhi, incentivo alla produzione di calore per uso non domestico), il quale prevede pagamenti per incoraggiare la produzione di calore rinnovabile, sia mediante produzione diretta (combustione del biogas in loco) e iniezione di biometano nella rete. In Italia, non esiste alcuna politica di supporto alla combustione diretta per la produzione di calore dal biogas. Gli incentivi per il recupero di calore dai cogeneratori non risultano interessanti per gli investitori e gli impianti in grado di produrre elettricità e biometano sono appena una manciata.
Quindi, deduciamo che i colpevoli della stagnazione dell’industria del biogas in Italia sono la burocrazia e le politiche miopi. Elementare, Watson!
Ripubblicazione di un articolo di Mario A. Rosato su Agronotizie.
Il Consiglio dei Ministri spagnolo approva in tempo record le Linee Guida per incentivare il biogas.
Lo scorso 22 marzo il Consiglio dei Ministri spagnolo ha approvato le Linee Guida sullo Sviluppo del Settore Biogas (testo integrale in spagnolo in questa pagina). Una bozza delle stesse era stata sottoposta a consultazione pubblica a settembre 2021, ricevendo diversi suggerimenti dalle associazioni di categoria spagnole che sono stati inclusi nel documento finale.
Il conflitto in Ucraina ed il conseguente aumento dei prezzi dei carburanti fossili ha spinto la Commissione Europea ad una presa di posizione ufficiale con la sua Comunicazione al Parlamento Europeo: REPowerEU: azione europea comune per un’energia più sicura, più sostenibile e a prezzi più accessibili (testi in italiano della Comunicazione e relativi allegati in questa pagina).
Da diversi anni il Governo spagnolo stava tentando di recuperare il ritardo sullo sviluppo delle energie rinnovabili causato dai governi precedenti. La guerra in Ucraina e le spinte europee sono servite a superare di colpo le discussioni ideologiche fra i diversi partiti, trovando un accordo per il bene comune. Ciò dovrebbe essere la normalità in qualsiasi democrazia, ma in un Paese culturalmente molto simile all’Italia un accordo fra partiti basato su criteri scientifici è una rarità che costituisce notizia.
In estrema sintesi, le Linee Guida appena approvate prevedono:
Superare i 10,4 TWh, che significa moltiplicare per 3,8 la produzione attuale di biogas entro il 2030 rafforzando l’economia circolare e fermando l’esodo della popolazione rurale mediante la creazione di nuove filiere. Ci si aspetta di evitare l’emissione in atmosfera di circa 2,1 milioni di tonnellate di CO2 equivalente all’anno.
Creare un sistema di garanzie d’origine del gas rinnovabile, già in corso, con la possibilità di fissare obiettivi e quote di immissione per sviluppare il mercato.
Attivare una linea di aiuti per implementare i progetti di biogas, per un valore di 150 milioni di euro, a carico del Piano di Recupero, Trasformazione e Resilienza (Prtr).
La strategia spagnola non tralascia nessuna matrice potenzialmente fermentescibile né spinge per un modello concreto: scarti agricoli, Forsu e fanghi verranno utilizzati per produrre elettricità, calore industriale o biometano da trazione. È importante osservare come gli spagnoli abbiano incluso nel piano la produzione di calore direttamente da biogas da utilizzare nello stesso impianto di digestione oppure in piccole reti di teleriscaldamento. L’utilizzo termico è il più logico ed economico per il biogas, ma non è mai stato preso in considerazione dal modello produttivo imposto in Europa che vede come uniche opzioni valide la generazione elettrica o l’upgrading a biometano, decisamente più costose e complesse.
Il piano spagnolo per incentivare il biogas include 45 misure divise in cinque linee di azione:
Strumenti normativi. Andrà creato un sistema di garanzia d’origine affinché i consumatori possano distinguere se acquistano energia da biogas o da gas naturale. Si prevede la semplificazione delle procedure autorizzative e soprattutto l’omogeneizzazione delle interpretazioni che ne fanno gli enti locali – causa di lungaggini in Spagna come in Italia – in particolare per quanto riguarda la gestione sostenibile del digestato come fertilizzate. Su quest’ultimo punto la lettura del testo lascia intravedere un approccio un po’ gattopardesco: vengono semplicemente elencate le leggi spagnole che contengono più o meno gli stessi vizi ideologici del famigerato Decreto Effluenti e il concetto di “end of waste” – fine dello status giuridico di rifiuto – per non è chiaro quale sarà la semplificazione. Come in Italia, il digestato da fanghi fognari continuerà ad essere escluso dall’utilizzo agricolo.
Strumenti settoriali. Si stabilisce la possibilità di definire obiettivi annuali di volumi di vendita o di consumo di biogas, quote obbligatorie, come si fa ad esempio con i biocarburanti liquidi. Si propone di incentivare la produzione di biogas con lo scopo che sia consumato in situ, ad esempio come calore di processo nell’industria agroalimentare o nel processo di trattamento dei rifiuti, o nelle flotte di veicoli. In ossequio all’ideologia del Green Deal e all’ideologia anti biometano della destra spagnola viene menzionata la possibilità di iniettare biometano in rete o di convertire il biogas in idrogeno, purché si dimostri economicamente viabile.
Strumenti economici. Si propone di dirottare fondi di aiuti già esistenti (programmi nazionali) per finanziare l’innovazione e lo sviluppo tecnologico del biogas e sfruttare anche il Piano di Recupero, Trasformazione e Resilienza (Prtr). A quanto pare, quest’ultimo prevedeva già azioni di aiuto al comparto del biogas, per cui la sua inclusione nelle nuove Linee Guida sembrerebbe piuttosto un promemoria o una specie di armonizzazione di provvedimenti.
Strumenti trasversali. Si cercherà di dare la priorità ai progetti di biogas in zone svantaggiate, di introdurlo nei capitolati di appalti pubblici. Lo studio della tecnologia di digestione anaerobica verrà incluso fra le materie di formazione tecnica. Si organizzeranno campagne di sensibilizzazione dei cittadini per migliorare la qualità della raccolta differenziata dei rifiuti. Si faciliterà la creazione di comunità energetiche rurali e gruppi di lavoro all’interno delle cooperative agricole per facilitare la sua implementazione. Si incentiverà la partecipazione ed il coordinamento di progetti di ricerca finanziati dall’Unione Europea.
Impulsare la ricerca e lo sviluppo. Impulsare la ricerca sulle tecniche di riduzione delle emissioni di gas contaminanti che non sono gas di effetto serra, promuovere progetti dimostrativi sull’utilizzo termico del biogas nell’industria e nell’agricoltura o l’innovazione sulle tecnologie di digestione meno mature. Non è chiaro quale sia la relazione del biogas con i “gas contaminanti che non sono di effetto serra”, quali siano tali gas né per quale motivo una parte delle risorse che dovrebbe essere utilizzata per promuovere il biogas andrebbe dirottata su questa piccola nicchia di ricerca. Considerando che circa il 60% della biomassa (vegetale) in alimentazione al digestore esce senza essere digerita, la priorità della ricerca dovrebbe essere aumentare ad ogni costo l’efficienza di digestione.
Il provvedimento del Governo spagnolo ci fornisce alcuni spunti di riflessione:
Nonostante la Spagna sia un Paese meno metanizzato e meno dipendente dal gas russo rispetto all’Italia, l’ideologia “anti biogas” pesa di meno fra i partiti spagnoli. La paura della guerra ha consentito di trovare un accordo in tempi relativamente brevi nonostante l’estrema frammentazione di forze politiche e campanilismi regionali che caratterizzano i nostri cugini iberici.
L’atteggiamento istituzionale nei confronti del metano è più pragmatico – per usare un eufemismo – in Spagna che in Italia. Ad esempio, il progetto del rigassificatore nel porto di Mugardos (A Coruña) è stato esonerato dalla Valutazione di Impatto Ambientale (Via). In Italia, invece, l’opposizione al rigassificatore nel porto di Trieste ha dimostrato la miopia ideologica ed il campanilismo che caratterizzano la classe politica italiana: per l’allora presidente regionale Debora Serracchiani“è incompatibile con il Piano Regolatore”; per l’allora ministro Carlo Calenda“non è strategico”; per l’assessore regionale Sara Vito è “sovradimensionato per le necessità della regione”; e per il deputato Aris Prodani la Via andava revocata per una serie di cavilli burocratici. Le ipotesi complottistiche attorno al progetto sono quelle comuni ai “comitati del no” e al M5S. Riportiamo un articolo a titolo di esempio il cui autore si nasconde dietro un nickname.
In un Paese civile, un’opera della portata di un rigassificatore dovrebbe essere valutata in modo logico e razionale, nell’ottica dell’interesse nazionale di lungo termine. Né con l’atteggiamento complottista campanilista del Friuli Venezia Giulia, ma neanche con un’accettazione acritica come nel progetto galiziano.
Il piano spagnolo prende atto e si propone di valorizzare i vantaggi ambientali della digestione anaerobica. L’obiettivo di una parziale autarchia sul metano non è dunque fine a se stesso, ma incluso in un’ottica di economia circolare più ampia. In Italia, invece, troviamo un esempio opposto nella Provincia Autonoma di Trento dove si prevede di metanizzare 47 comuni montani che sarebbero perfettamente autosufficienti con una gestione moderna e razionale delle biomasse boschive.
Come segnala il presidente della Federazione Italiana Per le Energie Rinnovabili (Fiper), Walter Righini, in un comunicato stampa: “Nel nostro Paese il complesso agroforestale energeticamente programmabile sarebbe in grado, se orientato opportunamente, di evitare l’importazione di almeno 13 miliardi di metri cubi di gas naturale, il tutto con una ricaduta finanziaria molto importante sul sistema economico nazionale. Si tratta, infatti, di un valore pari al 35/40% dell’importazione di gas dalla Russia registrata nel 2021, che oggi si traduce in 27-40 miliardi euro/anno”. Tra i punti sottolineati dal presidente Righini, nel suo intervento, c’è stata anche l’importanza di favorire lo sviluppo del biometano per i trasporti.
Per quanto riguarda la questione dei gas di effetto serra è evidente come i politici (e non solo quelli di Roma e Madrid) tirano in ballo l’argomento per difendere le proprie posizioni, senza però avere alcun criterio scientifico di valutazione. Abbiamo già segnalato in altri articoli gli errori concettuali nella dottrina europea dell’idrogeno pulito (Idrogeno da biomasse e Green Deal e Il ritorno del bioidrogeno) e anche quelli dei gruppi politici no biogas (I “comitati del no” ed il vademecum no biogas e biomasse e Quale futuro per le bioenergie nella prossima legislatura?). Il luogo comune è la demonizzazione dell’agricoltura convenzionale e degli allevamenti, colpevoli di emissioni di metano. La realtà inconfutabile è ben diversa. Secondo i dati rilevati dal satellite europeo Ghgsat, lo strumento tecnologicamente più avanzato per l’identificazione delle emissioni di metano in atmosfera, il contributo dell’agricoltura e degli allevamenti è irrilevante. I principali emettitori di metano sono le industrie di estrazione di combustibili fossili (petrolio, gas naturale e carbone), seguite dalle discariche di rifiuti (Foto 1). Le emissioni dell’Europa contano pochissimo nel bilancio globale, il principale emettitore di metano è la Cina, seguita a grande distanza da Usa e Russia (Foto 2).
Foto 2: Emissioni di metano in atmosfera relative all’industria di estrazione del carbone. Rilevazioni Ghgsat, Rapporto 2021. Quattro miniere in Cina e una a cielo aperto in Kazakhstan emettono circa come tutte le altre miniere di carbone nel resto del Mondo
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Riflessioni personali dell’autore
L’autarchia era un concetto filosofico politico valido (forse) ai tempi dei filosofi cirenaici, ma risulta utopica per una società industrializzata ed interconnessa come quella del Ventunesimo Secolo. Però, senza cadere nelle illusioni dell’era fascista – pure quelle prive di base logica né scientifica – è innegabile che una certa dose di autosufficienza – basata sui criteri di economia circolare – ed una politica di diversificazione delle risorse – basata sul buon senso – sono fondamentali per garantire la resilienza energetica di una Nazione.
Superando tempestivamente le ideologie di partito per rispondere alla crisi energetica del proprio Paese, la politica spagnola ci ha dato una piccola lezione di pragmatismo. La classe politica italiana, intanto, continua a sprecare tempo dibattendo sulle implicazioni morali ed etiche di fornire o non fornire armi all’Ucraina, o se destinare il 2% del Prodotto Interno Lordo (Pil) alla spesa militare farà arrabbiare il Papa o se il senatore A o il deputato B siano “putiniani”. Secondo il filosofo sabaudo Joseph De Maistre (1753-1821), “Ogni Nazione ha il Governo che si merita”. Ma cosa abbiamo fatto per meritare un Governo di pseudo filosofi crociani per i quali le reazioni emotive contano di più della logica o della scienza?
ripubblicazione di un articolo di Mario A. Rosato su Agronotizie
In data 24 febbraio 2021 si è tenuto, in formato webinar, il convegno “Caring for soil is caring for life”, nell’ambito della Missione europea per la salute del suolo e del cibo. L’evento è stato organizzato dal ministero per l’Università e la ricerca, Apre, Agenzia per la promozione della ricerca europea, Resoil foundation e Santa Chiara Lab (Università di Siena). Hanno aperto i lavori la ministra per l’Università e la ricerca, Cristina Messa, ed il dottor Antonio Parenti, capo della Rappresentanza in Italia della Commissione europea. La registrazione video è stata messa a disposizione del pubblico nel canale YouTube dell’Apre. Le presentazioni dei vari relatori si possono scaricare da questa pagina.
I problemi ambientali, economici e sociali della degradazione dei suoli agricoli, la cementificazione ed altri fenomeni indotti dall’attività umana, sono estremamente complessi ed esulano dall’argomento principale di questa colonna. Proponiamo ai nostri lettori un reportage al professore Giuseppe Corti, presidente della Sipe, Società italiana di pedologia, il quale ci ha gentilmente concesso un approfondimento della sua presentazione, focalizzato sulle potenzialità dell’agroenergia per il recupero dei suoli.
Per quale motivo la salute dei suoli europei desta preoccupazione? “La preoccupazione è tanta e ormai denunciata da parecchi anni da parte delle società scientifiche che si occupano di suolo. La mia società (Sipe), ad esempio, nel 2013 ha presentato una proposta di legge per definire in maniera univoca il suolo e salvaguardarlo; la proposta ricevette un numero (il 1181) dopo alcuni anni, ma non è mai stata calendarizzata. Dopo ancora qualche anno, durante una riunione, un esponente di governo ci disse (testualmente): ‘La vostra proposta non troverà mai accoglienza per interessi cristallizzati avversi!’. Quindi,evidentemente, non siamo compatibili con gli interessi generali del Paese. E noi invece pensavamo di operare per il bene del Paese, perché il suolo è la base di una sana e vivace politica economica e sociale senza la quale difficilmente potremo sperare in un futuro più radioso del passato.
Comunque, le minacce più urgenti a cui va incontro il suolo in tutta Europa sono dieci:
Riduzione della sostanza organica. Il problema dei problemi. In cinquanta-settanta anni di agricoltura intensiva non armonizzata con le condizioni pedo-climatiche ha prodotto l’eliminazione anche del 3% (assoluto) di sostanza organica dai suoli agrari. Abbiamo suoli con meno dell’1% di sostanza organica, la cui gestione si fa sempre più difficile. (1) Erosione. Insostenibile! In molte aree del Paese l’erosione porta via anche 1 centimetro di suolo all’anno, in qualche caso anche 2. Considerare che 1 centimetro di suolo per ettaro all’anno significa 100 tonnellate di terra a ettaro rimosse ogni anno, che prima o poi andranno a finire in mare, creando problemi di eutrofizzazione. Quindi, doppio danno: va via la parte di suolo più fertile che diventa un inquinante dei mari. (2) Inquinamento. L’Italia è tra i Paesi con la maggior quantità di aree inquinate per inquinanti organici (petrolio, olio…) e minerali (soprattutto metalli pesanti). Se iniziamo subito, potremmo riuscire a recuperare validamente i suoli meno inquinati in qualche decina di anni, per altri ci vorranno secoli. E per tutto questo tempo, quei suoli impediranno la produzione di derrate e non contribuiranno a depurare l’acqua. (3) Consumo e sigillatura del suolo. Anche in piena crisi economica a seguito del collasso della cosiddetta bolla edilizia, in Italia abbiamo continuato a consumare suolo a ritmo di 10mila ettari all’anno (dati Ispra). Per fare cosa? Per vendere a chi? Abbiamo decine di migliaia di costruzioni vuote, scheletriche, abbandonate, invendute che cadono su se stesse. Inutili all’economia e al Paese, dove però non è più possibile produrre nulla. Abbiamo aree coperte da cemento o asfalto inutili, dove avremmo potuto coltivare ceci, pomodori, melanzane…. Nulla, non ci faremo mai più nulla. (4) Salinizzazione. Problema in terribile aumento in tutta Italia. I suoli stanno arricchendosi di sale, di origine marina nella stragrande maggioranza dei casi. Diamo pure colpa al cambiamento climatico, ma cominciamo a controllare le concessioni dei pozzi e piombare quelli abusivi. Poi riparliamo anche di clima. (5) Perdita di biodiversità. La riduzione della sostanza organica e l’erosione hanno già causato una grande perdita di biodiversità a livello di organismi superiori (serpenti, anfibi, insetti, ragni, …), ma anche nei microrganismi del suolo. E pensare che in molti casi, almeno il disinquinamento da inquinanti organici potrebbe esser tranquillamente annullato proprio dalla catena trofica del suolo. (6) Vertisolizzazione. I suoli con una notevole quantità di argilla (maggiore del 30%), se in un clima che preveda una forte alternanza tra stagione piovosa e stagione secca tendono a vertisolizzare, cioè a formare fratture che si approfondiscono anche oltre 1 metro. La causa della trasformazione è in parte da ricercare nell’estremizzazione degli eventi piovosi, ma per gran parte è causata da erosione, che impedisce sempre più all’acqua di penetrare nel suolo. Una volta iniziato il processo, difficile tornare indietro, con l’impossibilità di continuare a produrre colture arboree e arbustive. (7) Entisolizzazione. Con l’erosione accelerata a ritmi di 1-2 centimetri all’anno, i suoli diventano Entisols. I pedologi definiscono così i suoli che ormai sono diventati dei materassi terrigeni poco fertili, senza una ottimale differenziazione in orizzonti, ridotta capacità produttiva. Volgarmente definiti come “suolo-non-suolo”, rappresentano il passo prima della scomparsa del suolo stesso. (8) Acidificazione. Un problema questo che non interessa troppo l’Italia ma, piuttosto, i Paesi del Nord Europa, dell’Africa, del Sud America e della Cina. Con il procedere dell’acidificazione, si riducono le capacità di trattenere nutrienti e la produzione di cibo cala inesorabilmente. Incendi. Altro enorme problema che interessa i suoli forestali e naturali. Va detto che, in assoluto, il fuoco è anche un agente evolutivo della vegetazione, ma se si ripete con frequenze eccessive (a causa di cattiva gestione o di vandalismo) allora comporta un degrado della vegetazione e del suolo”.
Nei suoli italiani abbiamo perso il 2-3% di sostanza organica negli ultimi cinquanta-settanta anni. Non basta aggiungere compost e/o digestato? Perché in Italia è “virtualmente vietato” utilizzare i fanghi derivanti da trattamento fognario? Se sono pericolosi, come sostengono i “comitati locali”, i gruppi ambientalisti e alcuni esponenti politici, come mai in Paesi come la Svezia vengono utilizzati perfino in agricoltura biologica? “Per la prima domanda, purtroppo può non bastare aggiungere sostanza organica al suolo per vederla aumentare. Può succedere in ambienti freddi, diciamo da noi al di sopra di almeno mille-1.200 metri di altitudine, ma non altrove. E il motivo è l’attivazione della microflora, tanto più attiva quanto più facilmente degradabile è la sostanza organica. Per la seconda domanda rispondo che purtroppo in questo paese si vietano le cose perché non ci fidiamo di chi potrebbe andare a gestirle, forse perché immaginiamo che gli altri si comportino come mi comporterei io al loro posto…”.
Cosa ci può dire del biochar? Meglio applicarlo da solo, o misto a compost, o a digestato? “Che il biochar sia la panacea di ogni male ce lo dobbiamo levare dalla mente. Affinché il biochar abbia un effetto sulle colture, bisogna che uno spessore di suolo di almeno 20 centimetri contenga almeno l’1% di biochar. Se pensiamo di migliorare le condizioni dei suoli degradati aggiungendo biochar, non basterebbero le foreste di due pianeti come la Terra! Il biochar è un’ottima soluzione per superfici piccole, dove svolge al meglio il proprio compito di aumentare e migliorare le produzioni (riducendo anche la disponibilità di metalli pesanti) se in combinazione con altri fertilizzanti”. (9, 10)
Poiché la zona più “biodiversa” del suolo sono i 30 centimetri superficiali: dobbiamo dedurre che è meglio utilizzare colture energetiche erbacee per decontaminare suoli? Esiste un criterio per la scelta fra erbacee e legnose? “La maggiore biodiversità del suolo è nei primi 30 centimetri perché quello è lo spessore del suolo più ricco di sostanza organica (che è il substrato a carico del quale vivono i microrganismi) e di ossigeno. Ciò non toglie che vi siano microrganismi importanti anche a maggiore profondità. Per decontaminare i suoli, probabilmente la soluzione migliore è quella di utilizzare entrambi i tipi di piante, arboree ed erbacee, così da interessare un più ampio spessore di suolo dal quale estrarre (nel caso dei metalli pesanti) o nel quale degradare (nel caso di materiali organici) gli inquinanti. Ma dobbiamo essere consapevoli che, in molti casi, ci vorranno decenni o secoli per riportare i valori degli inquinanti entro gli attuali parametri di legge, anche utilizzando varietà di piante a elevato potere assorbente o degradante di inquinanti”.
Quale coltura energetica è, nella sua opinione, la più adatta per il contenimento dell’erosione? Per quale motivo lei afferma che è ancora necessaria della ricerca sul campo anziché a tavolino? “Probabilmente non c’è una coltura più adatta a ridurre l’erosione, quanto piuttosto un sistema produttivo (scelta della coltura/colture, tipo di lavorazioni, messa a punto di sistemazioni idrauliche) che miri a ridurre la formazione di runoff, cioè l’acqua di scorrimento superficiale. Ci vuole ricerca sul campo perché, colpa anche di finanziamenti ridicoli per far fronte a ricerche di campo e di lungo termine, si fanno sempre più ricerche basandosi su pedofunzioni e modelli, a volte senza nemmeno riprovare in campo la veridicità del modello sviluppato, ma basandosi su valori pubblicati da altri autori su suoli simili a quelli considerati nella ricerca a tavolino. Se vogliamo acquisire serietà e autorevolezza in questo campo di studi, in un Paese che ne ha un estremo bisogno, è necessario che vengano finanziate ricerche da fare in campo, dove si vada a testare la validità di un sistema produttivo per anni. La variabilità degli eventi meteorologici è tale che in base ai dati di un anno potremmo concludere che non c’è erosione, salvo l’anno dopo trovarsi con centinaia di tonnellate di suolo rimosso. Abbiamo bisogno di ricerca mirata, funzionale allo scopo di ridurre l’erosione, pluriennale e, quindi, di finanziamenti adeguati”.
In quale modo si dovrebbero integrare le diverse filiere agroenergetiche con le politiche di protezione del suolo? “In una maniera molto semplice: i suoli inquinati devono essere coltivati per eliminare gli inquinanti con la biomassa prodotta (ovvio non si possano produrre derrate o fibre). Il che significa spostare il problema dal suolo alla biomassa, con la quale non sapremmo cosa fare. Per di più, a costi elevati e continuati per decenni, almeno! Come è possibile che la comunità possa assorbire spese di questo tipo? Una possibilità è quella di creare delle filiere di lavorazione della biomassa che possano essere economicamente sostenibili, così che vi sia convenienza a coltivare quei suoli, andando verso un progressivo disinquinamento. Una possibilità è quindi di valutare il livello e tipo di inquinamento e procedere con un tipo di filiera piuttosto che un altro.
Ad esempio, in caso di inquinamento di bassa entità, si possono coltivare colture erbacee da cui produrre metano (via digestore), etanolo (via fermentazione), olio per autotrazione (via estrazione) e con i residui (e altra materia organica) produrre ammendanti tramite compostaggio che potrebbero rientrare nel suolo come fertilizzanti. Oppure, nel caso di inquinamenti di maggiore entità, produrre legna da combustione, dalle cui ceneri estrarre metalli per via elettrochimica. Si pensi che l’estrazione di metalli quali oro, argento, platino, cromo e altri è economicamente vantaggiosa partendo dalle ceneri. Un impianto di estrazione di metalli potrebbe esser quindi alimentato con ceneri provenienti da centrali a biomasse prodotte in siti inquinati, senza produrre inquinamento dell’aria, contribuendo a ridurre la nostra dipendenza dai combustibili fossili e creando posti di lavoro. (10) Insomma, brutto a dirsi per non stimolarne l’incremento, ma possiamo trasformare un problema come quello dei suoli inquinanti in una opportunità economica che funga da traino per il loro disinquinamento”.
Foto 1: Possibili filiere di produzione agroenergetica per la decontaminzaione dei suoli. (Fonte foto: presentazione del professore Giuseppe Corti durante il convegno “Caring for soil is caring for life”)
Conclusioni
La salute dei suoli europei e italiani è minacciata da molte cause di natura antropica e, in misura molto minore, dal cambio climatico. Dobbiamo quindi smetterla di usare il cambio climatico come attenuante dell’impossibilità di migliorare la condizione dei nostri suoli. La ricerca ha dimostrato, da anni, che la gestione dei suoli ha molta più responsabilità del cambio climatico nel degrado. Ciò significa che non abbiamo più tempo a disposizione e che possiamo cominciare a lavorare senza aspettare che il clima si normalizzi o torni ai livelli della seconda metà del sec. XX. Dobbiamo convogliare tutte le nostre energie, tecniche ed economiche, nell’impresa di recuperare i suoli degradati, con l’impegno di non deteriore quelli che ancora non lo sono. A livello europeo e dei singoli Stati, la conservazione e il recupero o miglioramento della salute dei suoli agrari è un dovere anche per svilire la spinta all’occupazione dei suoli forestali, problema che si sta registrando in molte parti del mondo. Lo dobbiamo ai nostri figli e nipoti più che a noi o, se vogliamo, alle nostre coscienze.
Riferimenti bibliografici
(1) Corti G., Cocco S., Brecciaroli G., Agnelli A., Seddaiu G. (2013). Italian soil management from Antiquity to Nowadays. Chapter 9, pp. 247-293. In: Costantini, E.A.C., e Dazzi, C. (Eds.) The soils of Italy. World soils book series. Springer Science+Business Media, Dordrecht. (2) Corti G., Cavallo E., Cocco S., Biddoccu M., Brecciaroli G., Agnelli A. (2011). Evaluation of erosion intensity and some of its consequences in Vineyards from two Hilly Environments Under a Mediterranean Type of Climate, Italy. In: Godone D., Stanchi S. (Eds.) Soil erosion in agriculture. Chapter 6. InTech Open Access Publisher, Rijeka, Croatia. ISBN 978-953-307-435-1. (3) Visita questa pagina. (4) Visita questa pagina. (5) Dazzi C., Lo Papa G., 2013. Soil threats. Chapter 6, pp. 205-245. In: Costantini, E.A.C., e Dazzi, C. (Eds.) The Soils of Italy. World soils book series. Springer Science+Business Media, Dordrecht. (6) Visita questa pagina. (7) Visita questa pagina. (8) Dazzi C., Monteleone S. (2002) – Emergenza suolo e antropizzazione del territorio: un esempio di perdita della pedodiversità per entisolizzazione. Atti del convegno del Cinquantenario Siss “L’emergenza suolo” Boll. SISS vol. 51, n° 1-2, pp. 557-570. (9) Visita questa e questa pagina. (10) Visita questa pagina.
Il tema del futuro degli impianti di biogas agricoli è strettamente legato alla valorizzazione dei sottoprodotti e rifiuti di orgiine agroalimentare. Gli impianti di biogas costruiti negli ultimi 10 anni e finanziati in parte con denaro pubblico, per favorire la progressiva sostituzione delle fonti fossili, sono un patrimonio tecnologico ed una importante fonte di sostenibilità economica per le aziende agricole, che, senza modifiche sostanziali, sarebbero in grado di essere alimentati con la frazione organica dei rifiuti solidi urbani (FORSU), riducendo i costi di gestione della raccolta differenziata.
Dall’altro lato, il recupero dei rifiuti organici e la restituzione al terreno degli elementi nutritivi è un tema molto importante per l’Economia Circolare.
Il nuovo Regolamento Europeo sui Fertilizzanti è stato mosso precisamente dall’obiettivo di limitare o, in prospettiva eliminare, il ricorso a fertilizzanti non rinnovabili.
Nel webinar di giovedì 14 gennaio si parlerà delle importanti novità introdotte dal nuovo regolamento, che sarà operativo da metà 2022 e dalle opportunità che si aprono sia per il settore agricolo, che per quello dei rifiuti.
Il Jrc (Joint research centre, Centro comune per la ricerca) è l’istituzione che coordina la comunità scientifica europea ed elabora i rapporti tecnico-scientifici sui quali il Parlamento europeo dovrebbe poi definire le sue politiche di sviluppo. L’ultimo studio in materia di efficienza energetica ed emissioni di CO2 nel settore dei trasporti è stato pubblicato a fine settembre 2020. Si tratta di un lavoro analitico colossale, che include oltre 1.500 combinazioni di vettori energetici e tecnologie di produzione e conversione.
Molto si è parlato del biometano immesso nella rete del gas naturale, anche nei webinar organizzati da Agroenergia. Certamente importanti operatori del settore rifiuti hanno tracciato il solco dello sviluppo di questo settore, non solo al centro-nord ma anche al Sud, seppure finora in misura finora ridotta rispetto alle necessità di utilizzo in autotrazione, ma con buone prospettive a breve termine e ancora più interessanti nel caso venga modificato il decreto di riferimento del 2018 per favorire la riconversione degli impianti agrozootecnici.
L’abbinamento del biometano prodotto dalla fermentazione della frazione organica si inserisce in maniera ottimale nella circolarità dell’economia se tale prodotto viene autoconsumato da una flotta di mezzi a metano addetti alla raccolta differenziata o di servizio oppure alimenta una flotta di autobus urbani: tutti mezzi che usano il CNG – gas compresso a più di 200 bar.
Ripubblicazione di un articolo di Mario A. Rosato su Agronotizie
L’associazione di categoria Hydrogen Europe si presenta come una partnership fra le industrie europee promotrici di tecnologie relative all’utilizzo dell’idrogeno e la Commissione Europea. Si tratta di una lobby, nel senso anglosassone del termine, ovvero: “gruppo di persone che cerca di influenzare i legislatori su un particolare argomento” (definizione dall’Oxford Dictionary ). Non entreremo nel merito se l’interesse dell’associazione sia quello dichiarato nella pagina web istituzionale -decarbonizzare l’economia Europea- oppure quello economico di un gruppo di industrie multinazionali e spin-off, o peggio ancora, se serva solo a mascherare sotto un’apparenza “tecnica” le spinte egemoniche dei paesi ai quali appartengono tali aziende. Nel presente articolo analizzeremo quali potrebbero essere le conseguenze per le nostre aziende agricole se il governo italiano dovesse seguire incondizionatamente la dottrina dell’”idrogeno pulito” promossa dal Green Deal.
Ripubblicazione di un articolo di Mario A. Rosato su Agronotizie
Nella I Parte di questo articolo abbiamo spiegato il funzionamento di un impianto di digestione anaerobica comparandolo con un “allevamento di batteri”. Per il buon funzionamento di un impianto di biogas il suo gestore deve saper sceglie l’inoculo in funzione dei sottoprodotti con cui verrà alimentato il digestore, così come un allevatore sceglie la razza da allevare a seconda dello scopo aziendale, ad esempio bovine da latte o da carne. Al margine della verifica dell’attività metanogenica (Sma) – spiegata nella II Parte di questo articolo – è importante verificare la capacità dell’inoculo di degradare matrici organiche complesse, quali cellulosa, proteine e grassi.